La socializzazione.

Quando un termine diventa di moda, a volte viene utilizzato senza cognizione di causa.

Il rischio maggiore risiede in coloro che si fregiano di essere insegnanti, pur non conoscendo argomenti che insistono col nominare; così si finisce col creare ancora più confusione su un argomento che è invece di primaria importanza per i pappagalli, animali intelligenti dalla lunga vita e dalla complessa crescita.

Quando si parla di “socializzazione” si parla di apprendimento ed interiorizzazione dei valori e dei comportamenti tipici di una società, che vanno dalla comunicazione, ai modelli comportamentali specifici che (seppur innati) necessitano di essere raffinati con l’apprendimento, all’imparare come e cosa mangiare, come comunicare (linguaggio verbale e del corpo), come usare il becco e quanto stringere, insomma un insieme molto grande di apprendimenti che permettano all’individuo che “nasce dipendente da altri”, di “divenire totalmente indipendente” e in grado di affrontare la vita.

Solo per citare alcuni esempi: lo sapete che il modello di auto-preening (auto-pulitura del piumaggio) è specie-specifico? Ossia che un Amazzone amazzonica non si pulisce il piumaggio come farebbe un Cacatua alba o come un Agapornis roseicollis?
Il pappagallo deve apprendere come pulirsi correttamente dai cospecifici.
Oppure: lo sapete che sono i cospecifici a saper insegnare la moderazione della stretta del becco?

Molto di tutto ciò, dunque, non siamo in grado di insegnarlo ad un animale di una specie differente dalla nostra, come il pappagallo nella declinazione delle sue numerose specie.
Quando parliamo di pappagalli in cattività dobbiamo sapere che essi, nascendo del tutto inetti e dipendenti dalle cure altrui, dovrebbero ricevere una socializzazione primaria specie-specifica ad opera dei genitori e una socializzazione secondaria perché apprendano a vivere con una specie differente, la nostra, nell’ambiente artificiale della cattività; perché conoscano le regole di vita della società che li ospita, ben consci però di essere pappagalli, e di quella precisa specie.

All’interno di questa lunga fase che è la socializzazione, vi è un aspetto detto “socievolezza” (o sociabilizzazione) che riguarda solo una parte, e non certo la più importante, di tutta questa lunga fase detta di socializzazione. E’ necessario attivarsi perché l’individuo sia proiettato in un percorso educazionale detto prosocialità, in rispetto delle sue peculiari caratteristiche etologiche.

La “socievolezza” viene da taluni confusa con la socializzazione, creando gravi malintesi. Gravi sia per il pappagallo, sia il suo intorno umano.

Un pappagallo che abbia avuto una buona socializzazione primaria e una buona socializzazione secondaria, avrà affrontato quella fase di “socievolezza” munito dei mezzi per poterla comprendere e vivere pienamente. Non di subirla.

Anche nei pappagalli meno fortunati che sono stati privati di questo iniziale percorso, prima di affrontare la fase della “socievolezza” durante la quale le aspettative umane sono di renderlo “maneggiabile” e in grado di relazionare con gli esseri umani, si dovrebbe lavorare sull’aggiustamento delle informazioni mancanti dovute ad una prosocialità saltata di pari passo, affidando loro competenze che lo rendano in grado innanzitutto di essere sé stesso, cioè un pappagallo, conscio delle proprie possibilità; solo in un secondo momento potremo coinvolgerlo nell’azione “dell’andar d’accordo” con l’intorno.

Durante questa fase il pappagallo deve sempre essere libero, mai costretto fisicamente come dalla corda o dal forzato stazionamento all’interno di una gabbia, per esempio. Il pappagallo deve poter esprimere il suo diniego semplicemente spostandosi in libertà o andandosene con decisione. Ogni restrizione del movimento equivale all’impedimento della libera espressione. In sostanza, non otterreste affatto un risultato collaborativo, ma un risultato costrittivo.
Ricordate sempre che nell’educazione ogni risposta è quella giusta, tutt’al più dobbiamo chiederci cosa dobbiamo cambiare in noi.

 

In tutto questo processo, il marcatore è l’emozione che, mediata dalla produzione di alcuni ormoni, deve etichettare nella mente dell’animale un evento come:
1) positivo (generando comportamenti collaborativi)
2) negativo (generando comportamenti di fuga o evitamento, o addirittura la devastante “impotenza appresa”). *

 

Le emozioni fanno parte di quella parte della personalità che si chiama “sfera affettiva” e quando sono positive si parla di motivazioni, quando sono negative si parla di perturbazioni sino a divenire cosi disturbanti da parlare di stress, in modo particolare quando le perturbazioni si ripetono a lungo.

Quando volessimo trattare la socievolezza, non si dovrebbero prevedere “guadagni” che non siano la collaborazione stessa, atta a dare beneficio al gruppo oltre che all’individuo, appellandosi alla motivazione di appartenenza di gruppo.
Teniamo in considerazione che i pappagalli sono animali-preda e come tali necessitano di appartenere ad un gruppo il quale, per contro, dovrà essere rassicurante, collaborativo e mai impositivo:
1) l’autoritarsimo genera ansia.
2) l’Autorevolezza del modello sociale genera fiducia, partecipazione e apprendimento libero, mediato dalle caratteristiche individuali e di specie, non dal guadagno degli incentivi, ma dal guadagno del “saper essere” per poter scegliere cosa, come e quando esprimere il “saper fare”.
I modelli sociali possono cambiare in ragione dell’età e del contesto e possono essere più d’uno.

 

Molti sono i fattori che entrano in gioco durante l’azione prosociale e quindi anche di socievolezza, e tra questi vi sono il linguaggio verbale che sostiene la prestazione manifestata nel gruppo (e non è un comando!); il linguaggio del corpo, col quale si esprime la disponibilità all’aiuto; la collaboratività che coinvolge i componenti del gruppo nel raggiungimento di uno scopo che sia comune; la condivisione in cui si dona qualcosa di proprio agli altri in un mutuo interscambio.

 

Quando si parla di un percorso di questo tipo, è necessario tenere in conto l’età del pappagallo; nei pappagalli adulti ci si ritrova a dover ri-educare (da e-ducere = guidare fuori le capacità) comprendendo i limiti individuali (dunque non aspettandosi un risultato preconcetto e uguale per tutti), le facoltà cognitive, comportamentali e anche affettive; molti infatti sono i pappagalli che pur vivendo nelle nostre case accolti dal nostro umano “amore”, in realtà vivono isolati socialmente per incapacità di comprendere e comunicare con l’intorno e l’intorno con loro. Tutt’al più rispondono a dei comandi, ma questo non è agio e fiducia, ma il suo esatto contrario. Questi fattori vanno peggiorando quando si applicano tecniche di addestramento che impediscono a questo intelligente animale di esprimere la propria scelta ragionata che non si deve basare sulla convenienza di guadagno alimentare, ma sulla stimolazione delle motivazioni, che sono la forza che dirige il comportamento.

 

Un principio fondamentale dovrebbe attraversare la nostra mente quando relazioniamo con un pappagallo, ossia che questo animale ha molte ragioni per relazionare con noi: il piacere della Relazione in sè, la notevole curiosità che lo anima, la necessità di stare assieme formando un gruppo che egli può vivere attivamente; proprio questo gruppo lo induce (quando ne è in grado) a confrontarsi attraverso frequenti sfide che gli permettono di valutare le proprie capacità, implementando le proprie competenze, operando una modificazione costante della personalità mediante l’aumento delle informazioni e l’aggiustamento delle risposte, formando schemi mentali sempre più efficaci per lo stare assieme e il vivere nel mondo.

Se ci confondiamo su ciò che stiamo facendo, se decidiamo noi per il pappagallo, otterremo l’esatto contrario di ciò che è previsto per natura per questo animale: l’essere in grado di pensare, decidere e scegliere; finiremo piuttosto col gettare il pappagallo in una serie infinita di frustrazioni da incapacità di affrontare il mondo attorno a lui. Uno scotto che, purtroppo, si manifesta in là nel tempo, rendendoci incapaci di fare un collegamento logico quando fossimo digiuni di queste informazioni.

E ancora, la socializzazione, questo lungo processo che va dalla completa dipendenza alla totale indipendenza del pappagallo, non può essere confusa con l’imprinting! *

Il non sapere dove mettere le mani in momenti così delicati, il fare confusione attorno ad argomenti di tale rilevanza, magari insegnando ad obbedire, causa senza ombra di dubbio problematiche di dipendenza e mancato raggiungimento del valore essenziale per qualunque essere vivente: l’autostima. La coscienza di sapercela fare, la fiducia in sé stessi.

Buona riflessione.

Nota:
* dell’impotenza appresa e dell’imprinting ne parleremo più avanti.

Pubblicità